Il lavoro minuzioso dell’immagine apparentemente “gettata” ha lo scopo di ricreare una partitura muta, fatta di carne, peli e arti. “Abbecedario o pastora che fa la calza” nasce dall’unione di una serie di schizzi, scelti con l’obiettivo di elevarli a lavoro compiuto, senza che questi rischino di essere sola parte collaterale e progettuale. Dare corpo e completezza alla leggerezza della linea e all’ingenuità di un gesto immediato. Le figure all’interno nascono isolate e solo dopo si creano un vano dentro questo spazio colmo, costellato di corpi delineati da un solo tratto esterno, che desiderano apparire senza troppa pesantezza. Il lavoro realizzato interamente su carta si presenta allo spettatore quale una circoscritta galassia di corpi accennati “il giusto” e ci parla del segno più immediato e casuale. Lo schizzo quando nasce è per definizione nascita ai fini di qualcos’altro: altro di compiuto e progettato. Ma in quel lavoro finale si perde irrimediabilmente una traccia, un gesto, un soffio irripetibile legato all’attimo. Il disegno che prende forma dal caso e dal caos porta con sé la traccia del tempo: è temporalità pura, cristallizzatosi nel momento presente più di qualunque altra pratica artistica. E il segno diviene orma di un presente già vanificatosi nell’istante in cui viene scorto. La transitorietà del senso che attraversa il segno, e l’immediatezza del gesto legata a una temporalità fuggevole, indescrivibile in immagini, sono temi che attraversano da sempre la mia ricerca artistica, ripresentati con vigore in quest’opera. Come una mappa punteggiata da corpi galleggianti, Abbecedario dà corpo unico a questi abbozzi dalle vesti fugaci e transitorie e li sottopone a un equilibrio forzato, in un incastro tra forme che, purché disunite, alfine si uniscono. Un indice costituito da immagini – segni che guidano lo sguardo come all’interno di un vocabolario visivo, come all’interno di un Abbecedario erotico…